Gianluca Petrazzi (3/09/1966 – 1/11/2017) è stato un attore, un regista, ma soprattutto uno stuntman del nostro cinema. Figlio del grande Riccardo Petrazzi, ne ha ereditato la vocazione, la caparbietà, la professionalità e l’amore per la settima arte. Fin da bambino ha frequentato i set cinematografici e col tempo ne divenne un punto di riferimento grazie alla sua bravura e alle sue capacità. Un maestro di questa professione, Gianluca ha portato avanti – sino alla sua prematura scomparsa all’età di soli cinquantuno anni – il suo amore per questo mestiere, mettendo al servizio dei colleghi il suo talento. Anni fa ebbi l’onore di poterlo incontrare a Roma, in uno dei suoi luoghi di lavoro, dove una in una tiepida mattina di maggio del 2012 mi concesse un’amichevole intervista che in parte è contenuta nel mio primo libro, Maurizio Merli. Il commissario dagli occhi di ghiaccio.
Tuo padre è stato stuntman e maestro d’armi in parecchi film che hanno visto Maurizio Merli come protagonista dei polizieschi che hanno caratterizzato il nostro cinema degli anni Settanta.
Diciamo il novanta per cento se non il novantacinque!
Che ricordo hai di tuo padre e che rapporto aveva con Maurizio Merli?
Il rapporto che aveva mio padre con Maurizio era d’amicizia, tanto che poi è diventata anche lavorativa. Maurizio ce l’aveva sul contratto, che quando lui faceva un film, voleva mio padre. Mi pare inoltre che volesse anche gli stessi parrucchieri e truccatori. C’era un bel rapporto che andava oltre il cinema, tanto che noi andavamo a casa di Maurizio a cena o a pranzo. Devo dire una cosa, che mio padre ha versato due lacrime nella sua vita: una quando è morto Maurizio e una quando è morta mia nonna, per cui pensa che rapporto ci poteva essere. Avendo un carattere così duro, così forte, vuol dire che c’era un rapporto d’amicizia grandissimo. Dura ancora oggi con la famiglia di Maurizio.

Tu quando eri ancora un ragazzo, hai partecipato a qualche film in cui c’era Maurizio Merli come protagonista?
Io con Maurizio ho fatto Il cinico, l’infame, il violento [1977, NdA] in cui avevo tutto un dialogo con Maurizio in una piazzetta.
In questo film che hai appena citato l’antagonista è Tomas Milian. Si è tanto parlato del loro dualismo che c’era sul set. Tu che ricordo hai di ciò?
Mi ricordo in un film, credo fosse Roma a mano armata [1976, NdA], dove giravano le loro scene in posti differenti e non si sono mai incontrati. Era il periodo più burrascoso [ride]. Si, ma ste cose succedono anche oggi nel cinema.
Anche Tomas Milian aveva un suo carattere molto particolare.
Tutti e due venivano da un ceto sociale medio. Tomas era nato a Cuba, cresciuto con molte esperienze di vita, tanto che ha visto suo padre impiccato e da piccolo subì un po’ quello shock. Maurizio veniva dalla strada, era uno di noi, giocava a lattine coi ragazzini e pure quando stava sul set, si metteva lì a giocare, perché gli ricordava la sua infanzia. Per cui essendo due caratteri molto forti era facile che si scontrassero. Anche perché tutti e due avevano questa forza di decidere intelligentemente sulla sceneggiatura, facendolo comunque in funzione del film, per cui si scontravano pure su quello. Era un po’ uno scontro continuo, anche se non sono mai venuti a mancare alla loro professionalità sul lavoro. Si vede quello che anno fatto nel cinema degli anni Settanta. Lo hanno sconvolto!
Tuo padre fece un western con Merli, girato al crepuscolo del genere, ma fu un film di qualità e di successo. Mannaja di Sergio Martino.
Era molto bello Mannaja, uno dei più bei film western che hanno fatto all’epoca, secondo me anche meglio di Django.
Come mai, secondo te, Maurizio Merli fece questa parentesi western, lasciando momentaneamente il poliziesco?
Una volta non era come oggi. Oggi non esiste più il cinema di genere. Non c’è più niente, io le reputo delle cagate ‘sti film italiani di adesso dove ci sono i quarantenni che fanno i ragazzini per intenderci. Oggi non riusciamo più a vedere un film con un carattere vero e proprio, perché purtroppo ci si è messa di mezzo la politica in questo lavoro. Mentre invece una volta c’erano i produttori che rischiavano e che vedevano molto più avanti. In quel caso credo volessero riportare il genere western che era oramai passato da qualche anno, perché spodestato dal poliziottesco italiano e magari volevano riportarlo alla ribalta con un attore affermato come Maurizio. Tra l’altro stava benissimo vestito in abiti western. Quel film non andò manco male, andò bene, perché quello era il periodo di Maurizio. Quando Sergio Martino girò questo film il genere western non è che era al crepuscolo, non c’era più proprio. Fu una mosca bianca, come si suol dire. Per Maurizio e per il genere poliziesco, il crepuscolo arrivò più avanti con Da Corleone a Brooklin in poi.
Mannaja uscì nelle sale nel 1977 e Maurizio godeva di una grande popolarità.
Come no!
Rimanendo al poliziesco, ricordo tuo babbo in Napoli Violenta di Umberto Lenzi.
In parecchi di quei film era maestro d’armi. Calcola che papà ha fatto cinquantanove film de polizia, tra cui una quarantina da coordinatore stunts. Tanto che Quentin Tarantino ne ha pure parlato ed ha fatto un elogio a mio padre in quanto lo considerava tra i top dell’epoca per i film d’inseguimento e sparatorie.
Chi è che controfigurava Maurizio Merli? Si sa che spesso lui preferiva girare le scene senza la controfigura, ma spesso era necessaria.
Mio padre lo controfigurava spesso. Considera però che Maurizio si faceva l’ottanta per cento delle cose da solo, poi c’erano scelte che purtroppo non dipendevano da lui, ma dalla produzione, perché non si prendeva la responsabilità in caso Maurizio si fosse fatto male, perché poi si sarebbe bloccata tutta la produzione del film. Maurizio era un atleta, uno che guidava bene la moto e la macchina, era uno cazzuto. Era il vero commissario insomma! Papà standogli sempre appresso lo fecero biondo e un giorno si presentò a casa co ‘sti capelli oro e ci fece un effetto strano, perché mio padre era moro coi capelli neri! Che poi né io, né mio fratello gli assomigliamo tanto a papà. Io sono quello che gli assomiglia di più caratterialmente. Perlomeno così dicono.
Tuo babbo ha una delle facce cinematografiche più riconoscibili e iconiche per quanto riguarda i caratteristi di quegli anni.
Eh sì! Sembrava un bandito vero. Ti racconto questa. In un film con Michele Placido, di cui non ricordo il titolo, dei colleghi vengono di corsa da me e mi dicono: «Oh, c’è uno che sembra tu’ padre da giovane!». «Va beh, gli assomiglierà…». Era identico a mio padre sto ragazzo! Io ci rimasi di stucco, quasi che mi prese un colpo. Poi era morto da poco e vedere sto giovanotto con queste camicie tipiche degli anni Settanta che papà portava sempre, mi fece un certo effetto. Papà vestiva retrò come tutti quelli di quegli anni. In quel film a quel ragazzo volevamo fargli fare una parte, ma poi non riuscimmo più a rintracciarlo. Era veramente uguale a mio padre quando aveva vent’anni!
All’epoca di tuo babbo c’erano personaggi come Benito Pacifico, Benito Stefanelli, tutti stuntman di alto livello.
Stiamo parlando di gente che ha fatto il cinema quello vero.
Oggi, secondo te, questi personaggi, quanto mancano al cinema italiano oppure è il cinema che manca e quindi non richiede più figure professionali e professionisti di quella caratura?
Questa gente manca tanto al cinema, ma manca pure il cinema per far riuscire questa gente, perché non è che uno nasce stuntman, uno nasce e poi se c’ha delle capacità può fare quel mestiere, ma se non le può esprimere come fa? Prima si facevano trecento film all’anno per cui ti crescevi una persona con l’esperienza, perché non è che c’è una scuola e secondo me una scuola non potrà mai esistere. Si, oggi tecnicamente può pure avere ragion d’essere, ma prima imparavi tutto sul campo ed imparavi molto di più. Oggi si fanno una decina di film, duemila fiction delle quali solo un cinque per cento haqualche scena d’azione. Così non riesci a crescere una persona, o se riesci, ne formi talmente pochi che bastano per quello che è richiesto. Ma ne avanzano anche molti purtroppo.
Scorrendo la tua lunga filmografia vedo anche diverse produzioni internazionali quali Mission: impossible, Il Padrino, 007…
Siamo quei tre o quattro stuntman – pure Claudio [Pacifico, NdA] – che vengono richiesti in produzioni straniere, anche perché siamo quelli con più esperienza. Non voglio dire i più bravi, ma quelli con maggiore esperienza e che quindi fanno comodo a produzioni non italiane.
La generazione degli stunts di cui ha fatto parte tuo padre, credo abbia insegnato non poco da un punto di vista atletico e dell’essere un attore-caratterista.
Assolutamente! Ed è quello che ci manca oggi. Una volta lo stuntman era anche un attore, come nei film con Bud Spencer in cui c’era anche mio padre. Oppure nei film poliziotteschi dove il cinquanta per cento di quelle figurazioni speciali le facevano gli stuntmen. Oggi non ci sono. Oggi ci sto io, mio fratello, che veniamo da una famiglia di stunts. C’è Claudio Pacifico che fa l’attore, ci sono i Novelli che fanno gli attori, Marco [Stefanelli, NdA] che io ancora lo reputo un giovane, ma pure lui comincia ad avere i suoi cinquant’anni passati.
Ricordo bene un giovane Marco Stefanelli nel ruolo di Tony nel film Bulldozer con Bud Spencer dove c’era anche tuo babbo.
C’era Marco, c’era Ottaviano Dell’Acqua e c’era papà che faceva il biscazziere. C’è un aneddoto che oramai è storico, di quando Bud, durante le riprese, disse a Michele Lupo [regista, NdA] col suo vocione: «Fai più primi piani a Riccardo, perché tanto a me mi vedete in tutto il film». E infatti ci stanno tre o quattro primi piani di papà. Tra l’altro, proprio l’anno scorso, ho fatto la controfigura a Bud su tutta la serie I Delitti del cuoco, [serie tv uscita nel 2010, NdA].
Oramai voi lavorate parecchio anche nelle fiction.
Io faccio l’ottanta per cento delle fiction che ci stanno in giro. Ora sto girando una fiction con Luca Barbareschi – è per questo che mi stavano chiamando al telefono e ti ho interrotto cinquanta volte – e faccio tutte le sue cose. Con la Taodue di Valsecchi faccio Squadra Antimafia, R.I.S. – Delitti imperfetti, Distretto di polizia, Il capo dei capi e così via. Adesso abbiamo fatto una serie sulla camorra.
Ci sono delle differenze riguardo al tuo lavoro tra le fiction e il cinema?
No. Dico sempre che nel gergo nostro «tirare un cazzotto» in uno spettacolo, in una fiction o in un film non cambia, sempre un cazzotto tiri. Certo, se tu stai a fa’ 007 c’è più soddisfazione che fare la fiction Carabinieri, però alla fine poi i soldi sono gli stessi. Il lavoro è quello, non è che cambia. Però ci sono certe fiction che io ho fatto, tipo Intelligence – Servizi & segreti [2009, NdA], dove ho potuto esprimere tutto il mio sapere e la mia preparazione lavorativa, perché ho trovato un regista come Alexis Sweet che m’ha dato carta bianca. Così faccio pure con Claudio Fragasso. Sono il suo capo stuntman e lì posso avere una maggiore libertà nelle scelte lavorative. Quando lui scrive una scena mi chiama e mi dice: «Gianlu’, che famo qua?». Allora mi metto giù e cerco di tirare fuori tutto quello che di più artistico e spettacolare si possa fare.
Il tuo primo film come regista è Zombie 3d.
Esatto. Stiamo ancora in fase di montaggio.
Torno al passato. Tuo padre ha fatto tanti film anche con Tomas Milian.
Papà a Tomas l’ha controfigurato parecchio, forse più di Maurizio, partendo da Il giustiziere sfida la città [1975, NdA]. E non tutti sanno che il titolo originale di quel film era Rambo. Avevano proposto quel titolo perché c’era un motivo: il protagonista, andando in motocicletta, la moto fa un rombo, e allora il regista Umberto Lenzi disse: «Ma perché non lo chiamiamo Rambo?». Quando Stallone fece Daylight – Trappola nel tunnel [1996, NdA], venne suo figlio in Italia e fecero una riunione con Umberto Lenzi, perché voleva acquistare i diritti dei suoi film per distribuirli in America.
Il poliziesco all’italiana è tutt’oggi molto seguito, anche da quelle generazioni, come la mia ad esempio, che siamo nati dopo l’epopea di quel genere. Tanto bistrattati dalla critica dell’epoca, ma ottennero grandi risultati al botteghino e ancora oggi sono molto seguiti e apprezzati.
Film come Roma a mano armata, Napoli violenta e molti altri incassano ancora con le vendite dei dvd. Noi adesso stiamo girando Roma criminale, un film che parla di un ipotetico Tomas Milian che esce da casa dopo trent’anni e si ritrova una criminalità molto più fredda, aggressiva, dove non c’è più rispetto, in netto contrasto con la sua che invece era di onore, che pur essendo un delinquente, aveva un suo rispetto e una sua morale.
Nel cinema di italiano di oggi manca quel pizzico di crudeltà e di violenza che era una caratteristica imprescindibile del genere poliziesco. Forse la serie tv Romanzo criminale richiama a quei stilemi.
Perché racconta una storia degli anni Settanta, per cui non poteva farne a meno di poterla riportare com’era una volta.
Tu hai fatto una serie televisiva che quando ero ragazzo ho adorato, che era Classe di ferro.
Si! Beh, sono contento. Poi abbiamo fatto, sempre con gli stessi attori, Quelli della speciale sempre di Bruno Corbucci.
Roma, 30 maggio 2012.